TRUST THE PROCESS – Come imparare a fare cose nuove

Ciao Ink Drops!

Ultimamente mi sono resa conto di una cosa: c’è una grandissima lista di cose che non so fare. Un’immensa, gargantuesca lista di cose per cui sono assolutamente negata. Ma si sta anche creando al suo fianco una piccola lista di cose che non sapevo fare e che invece sto imparando.
Non cose del tipo “Ah sono tre anni che vado all’Università, adesso finalmente so che Pico della Mirandola non è un papero vestito di verde“, no; sono cose utili, cose inaspettate, cose che a volte richiedono un certo grado di responsabilità o un certo grado di “mettersi in gioco”, se mi spiego. Ed è una sensazione elettrizzante (per quanto su una scala da 1 a 10 il mio livello di competenza in alcuni di questi ambiti sia comunque ancora intorno al 4: è sempre un miglioramento sorprendente).
Elettrizzante soprattutto se mi ricordo come all’inizio non avevo idea di cosa fare, o un’idea ce l’avevo ma mi sembrava troppo difficile e faticosa da portare avanti, e di come invece le cose ora siano cambiate, anche solo di un millimetro.

Ma che cos’è che hai imparato a fare?” mi chiederete.
Ecco, vi do subito qualche esempio.

  • CUCINARE

    metto questa per prima perché resta ancora una delle abilità in cui sono più vergognosamente scarsa. Volete qualche esempio?
    Ebbene, mentre ero a Londra potrei (ma sono pronta a negarlo) aver provato a cucinare un cetriolo in padella, mangiato pasta al formaggio precotta in lattina, fuso irrimediabilmente una caffettiera, basato numerosi pasti su purè di patate solubile (molto comodo in fase di lavaggio dei piatti: basta mettere la ciotola sotto l’acqua calda e ogni traccia di purè rimanente si scioglie e scompare in un istante), risparmiato sulla spesa per investire tutte le mie finanze in caffè di Starbucks. Ho persino cercato di cucinare una pastina col brodo dimenticando completamente il dado e sorprendendomi perché a fine cottura l’acqua era ancora limpida come all’inizio. Tutti i miei coinquilini hanno iniziato a scherzare sostenendo che sarei diventata famosa scrivendo un libro di cucina. Però il punto è che adesso ho imparato che nel brodo va il dado, che se fondi una caffettiera e fai scattare l’allarme antincendio basta aprire una finestra, che pancake e formaggio greco non sono una buona combinazione, che il riso al sapore di bacon e formaggio sa di cibo per cani, so quanto sale va nell’acqua della pasta, ragazzi, insomma: ci sono dei miglioramenti notevoli! (E a mia discolpa i cetrioli inglesi hanno un aspetto alquanto inusuale.) cucumber

  • TENERE UN DIARIO DI BORDO

    lo chiamo Diario di Bordo perché mi dà l’illusione di star riportando un’avventura e perché l’idea di scrivere “Caro Diario” mi fa venire la pelle d’oca.  Ho iniziato a tenere un quadernino pieno di liste e appunti a 13 anni, ma solo da un paio d’anni ho cominciato a cercare di scrivere le cose in modo più articolato. E, vi dico la verità, all’inizio mi sentivo così imbecille. Ed entrerò più nel dettaglio in un altro post, ma la cosa importante è che adesso, due anni dopo, mi sento un buon 50% meno imbecille. Ci sguazzo come un pesce.

  • BABYSITTER

    ho cominciato a fare la babysitter tre anni fa, a diciannove anni (sia messo a verbale che ho fatto il calcolo sulle dita, perché per qualche ragione da quando ho smesso di andare al liceo faccio una difficoltà incredibile a ricordarmi esattamente quanti anni ho e quanto tempo è passato da quando ho iniziato a fare qualcosa). Ho cominciato con un bambino di otto anni per poi passare a due gemelli di tre, che ora ne hanno quasi sei e per cui faccio ancora la babysitter. Era l’unico modo di fare cash che mi venisse in mente e che mi sembrasse più divertente di fare la cassiera in un negozio per otto ore di fila, ma comportava delle responsabilità.
    Cosa succede se vado a prendere i gemelli all’asilo e uno mi corre sotto a una macchina? Cosa succede se mi perdo un bambino? Cosa succede se cadono mentre sono in bagno, se corrono con le forbici in mano, se gli va la cena di traverso, se li avveleno con il cibo che i loro genitori sono stati abbastanza sventati da far cucinare a me, se… se… se… Mi ricordo distintamente una sera prima di iniziare a babysitterare in cui ho pensato “No, è meglio di no. Magari sbaglio qualcosa. Meglio lasciar perdere.
    Poi però l’ho fatto lo stesso (si vede che ormai ero incastrata) e in realtà non è successa nessuna di queste cose. Certo, una volta siamo rimasti chiusi fuori casa, una volta a un bambino è venuta la febbre, ma abbiamo gestito la cosa alla grande. Anzi, ho scoperto mano a mano trucchi per farli mangiare, per far mettere loro il pigiama, per farli andare a letto, per farli restare accanto a me quando camminiamo per la strada, andiamo d’amore e d’accordo, sul serio! Ed è stato un po’ complicato e faticoso, ma è stato anche estremamente soddisfacente. Anche se si tratta sempre di babysitting, non di scienza aerospaziale. Se avessi ascoltato la vocina del “Meglio lasciare stare” non l’avrei mai scoperto. E adesso invece di piegare vestiti da H&M posso guadagnare qualcosa costruendo fortini con sedie e cuscini del soggiorno.

  • FARE STEP

    chi l’avrebbe mai detto che ci si sente bene dopo aver fatto dell’estenuante movimento fisico? Vai tu a pensare che tutta quella storia delle endorfine rilasciate dopo lo sport era vera, dopotutto. E che addirittura tentativo dopo tentativo si riesce a spingersi sempre più avanti, a saltare su e giù sui pedali sempre più a lungo.

3k95184_111653532320432_209440273_n

Ci sono centinaia di cose che ognuno di noi potrebbe aggiungere alla propria lista!
Cose di tutti i tipi: da quelle più facili e scontate, come sapersi cucinare una cena decente, a quelle più difficili, come decidere di seguire una strada, una passione, imparare un’arte di qualche tipo, nuove tecniche, un mestiere, qualsiasi cosa. Si può imparare a esprimere se stessi più liberamente, a prendersi delle responsabilità, ad acquisire abilità inaspettate.
Sembra tutto difficile e impossibile all’inizio, ma sono sicura che se ci riflettete tutti voi riuscirete a trovare almeno una cosa per cui vi ritenevate negati e che invece avete già cominciato a conquistare. Basta un progresso di un millimetro, come me in cucina, non serve che siate diventati all’improvviso Carlo Cracco.
Mettete questa cosa speciale che state conquistando in cima alla vostra lista e pensate a che cos’altro potreste aggiungere. Non importa quanto sembri difficile: farete dei progressi e sarà una sensazione fantastica.
Certo, c’è una buona possibilità che all’inizio sarete terribili, ma dovete fidarvi del processo. Sono parole di uno dei fondatori della Pixar, Ed Catmull:

TRUST THE PROCESS

Lui lo diceva a proposito della creazione di una storia, ma credo che si possa estendere un po’ a tutto in generale: c’è una buona possibilità che all’inizio la storia che state scrivendo, o l’abilità che state sviluppando, sia terribile, ma migliorerà.
Non c’è neanche bisogno che ve lo dica io, in fondo lo sapete già, lo sentite dentro: se ci mettete abbastanza energia continuerà a migliorare. E se proprio non funziona (io e la moda, ad esempio, siamo due universi che credo non si incontreranno mai, occorre rassegnarsi) allora pazienza, ci sono tante altre cose sulla lista.

Peace&Love

Jo

PS: potreste da questo post farvi l’idea che io sappia benissimo di cosa sto parlando, ma in realtà non è vero. Ne ho un’idea vaghissima e molto striminzita, ma mi sembrava interessante parlarne per un po’. Ah, a proposito: la citazione di Ed Catmull viene dal libro Creativity, Inc. che consiglio immensamente a tutti.

mistakes-arent-a-necessary-evil-they-arent-evil-at-all-they-are-an-inevitable-consequence-of-doing-quote-1

Night After Sidewalk – INKY PLAYLIST #4

Ciao Ink Drops!

Quando mi sono svegliata stamattina era già buio, plumbeo per l’esattezza, grigio: ho dovuto accendere la luce.
A gennaio basta distrarsi un attimo dopo pranzo ed è già calata la sera. A volte esco di casa per la prima volta che è già passato il tramonto e quando torno nel cuore della notte pedalo in bici rabbrividendo per il freddo tra strade deserte, con la luce dei lampioni che scintilla sulla brina che ricopre la strada e le montagne ammantate di nuvole e nebbia che mi circondano.

Attraverso grandi pozzanghere di neve semisciolta, aiuole spelacchiate, persino una palma che si erge solenne nel bel mezzo di una rotonda (un po’ strana a vedersi così ricoperta di neve). C’è sempre un punto in cui divento particolarmente contemplativa ed è quando imbocco una discesa, costeggiando il cortile di una scuola deserta con una grande e misteriosa costruzione rossa circolare simile a un piccolo Colosseo perforato di oblò proprio nel centro. Scendo giù pedalando in fretta in mezzo a due lunghe aiuole, in una delle quali una notte ho trovato un porcospino, e per un attimo la visuale davanti a me si libera e, prima di imboccare la rotonda con la palma, vedo dritto nel cuore del cielo notturno scintillante di lampioni (niente stelle, non questa notte). Se fosse il tramonto riuscirei a scorgere il sole e vedrei nuvole rosa nel cielo pallido sfiorato dagli alberi verde brillante. Ma di notte d’inverno è tutto silenzioso e completamente deserto e dura solo un istante, perché poi arrivo alla rotonda e devo frenare, guardarmi intorno e filare via nell’ombra con un’estremità della sciarpa che mi sventola alle spalle come una coda di volpe.

In questi giorni in cui la notte occupa una così grande parte del giorno, ecco una playlist per tutti quelli di voi che si trovano come me a tornare a casa da soli prima dell’alba per strade fredde gelide e tremendamente affascinanti.

In caso vi sentiate particolarmente musicali oggi e abbiate voglia di tornare indietro alle vecchie Inky Playlist, ecco i link: #1, #2, #3.
Voi cos’altro aggiungereste alla lista?

Peace&Love

Jo

PS: Se avete cinque minuti date un’occhiata ai dipinti di New Orleans di Diane Millsap, uno dei quali appare in questo post sopra al titolo; sono molto evocativi.

Aerei grandi come il Ritz

Ciao Ink Drops!

Stamattina mi sono accorta che i libri sullo scaffale sopra alla mia scrivania mi stavano parlando. In Cold Blood, dicevano,Through the Looking Glass, The Dimond as Big as the Ritz, The Sun Also Rises.. Se non mi credete guardate anche voi:

 

A sangue freddo,
attraverso lo specchio,
anche il diamante più grande del Ritz,
il Sole,
sorge.

Bravi, libri, non c’è male: la prossima volta proviamo con un sonetto. Io, dal canto mio, il sole che sorge come un diamante più grande del Ritz lo vedo raramente, visto l’orario in cui è impostata la mia sveglia.
L’ultima volta che l’ho visto è stata in aeroporto il 6 di Dicembre, tornando a casa. Volare più essere bellissimo e terrificante allo stesso tempo, ma quando si vola sopra all’alba secondo me è più facile dimenticare la parte spaventosa per un attimo. C’è un’atmosfera polverosa e sonnolenta in alto, sopra alle nuvole; luce rosa inonda l’aereo dai finestrini riempiendolo fino al soffitto, il carrello delle vivande serve yogurt ai frutti di bosco e panini al formaggio (combinazione alquanto spiacevole), qualcuno ha disegnato sopra al mio sacchetto del vomito. Avete mai assistito a qualcuno che vomitava in aereo? Io mai, anche se alla partenza da Gatwick c’era tanto vento che l’aereo sbandava e ondeggiava furiosamente quando ancora aveva le ruote posate per terra. Il mio consiglio in questi casi è di ascoltare negli auricolari qualcosa di molto chiassoso ed esagitato. Al diavolo chi suggerisce rumori dell’oceano e rilassanti flauti di pan nelle situazioni di panico: molto meglio sparare #SELFIE ad un volume talmente alto nelle orecchie da sovrastare tutto il resto che sta accadendo in quel momento nel vostro cervello.

Altra esperienza con i sacchetti del vomito, cinque anni fa, sempre in Inghilterra: affascinata dalle scene dei film in cui persone sull’orlo della crisi di nervi afferrano una busta di carta e ci respirano furiosamente dentro, ho provato a fare lo stesso con il mio sacchetto, per pura curiosità scientifica, niente di più. Subito una signora inglese sulla sessantina si è sporta oltre il corridoio con aria preoccupatissima gridando: “Oh my God, are you alright? Are you ok? Do you need help, can I call someone? Just breathe, just… just… oh my God, SHOULD I CALL SOMEONE?“: c’è mancato poco che non dovessi far usare il sacchetto a lei.

Volare da soli è la cosa migliore che possa capitare a una persona che ha paura di staccare i piedi da terra. Non bisogna fare conversazione, non bisogna cercare di dimostrare di essere perfettamente calmi, rilassati e a proprio agio: si è liberi di sentirsi come ci si sente per un paio d’ore senza doverne rendere conto a nessuno. Due ore nel cielo senza campo né connessione: niente facebook, niente whatsapp, niente di niente. Solo distese sterminate di nuvole e cielo e mari, campi, montagne, yogurt ai mirtilli e panini al formaggio, gentili signore del posto accanto che ritirano la colazione per te mentre sei in bagno a coprirti le orecchie con le mani mentre tiri quello sciacquone tremendamente rumoroso per cui sono famosi gli aerei, per poi convincerti che coprirsi le orecchie è una cosa estremamente infantile da fare, togliere le mani, ascoltare il rumore, coprirsi le orecchie di nuovo perché, insomma, sono nel bagno di un aereo e nessuno lo saprà mai se mi sono coperta le orecchie o no. Per un paio d’ore, non di più, o da soli ci si annoierebbe. Seduti accanto al finestrino in modo da poter guardare fuori di tanto in tanto e permettere alla bellezza incredibile del paesaggio di sovrastare la paura e spingerla sempre più giù (scopo al quale assolve perfettamente anche la sopracitata #SELFIE: ho tutta una playlist io di quella roba). Avevo scritto nervosismo invece che paura, ma siamo sinceri: io mi cago in mano a volte durante il decollo, diciamo le cose come stanno. Nella libreria dell’aeroporto, prima della partenza, leggo i titoli dei libri e mi sembra di scovarci sempre dentro presagi orripilanti. Eviterei di bere il the per non doverne guardare le foglie. (Meglio mettere gli auricolari e – “Lemme take a selfie“- posso fluttuare nel cielo indisturbata).

IMG_7870

Tutto questo post è un po’ fluttuante, non molto concreto, ma è perché è mattina e ho fame e sto ascoltando questa canzone: Perfect Darkness di Fink. Adesso torno sul pianeta terra e vado a pranzo, senza sacchetti per il vomito e panini al formaggio. Voi, ragazzi, divertitevi domani a Capodanno; dubito che ci sentiremo prima del 2016. Che scortese, non vi ho neanche chiesto come state, non vi ho neanche chiesto se voi vi coprite le orecchie nei bagni degli aerei, niente. Imperdonabile.

Peace&Love

Jo

 

Scoiattoli e foglie colorate

Ciao Ink Drops!

Come sappiamo, l’autunno è la mia stagione preferita e anche l’anno scorso più o meno in questo periodo sono andata a fare una passeggiata sotto agli alberi e poi vi ho fatto vedere le foto. Dunque, quest’anno ho avuto l’occasione di camminare in lungo e in largo e di passeggiare tra le altre cose anche in innumerevoli parchi (il più prestigioso di tutti, Regent’s Park). Ecco dunque un po’ di foto in ordine cronologico, partendo da scoiattoli e foglie rosse fiammeggianti fino ad arrivare ad alberi spogli che si tendono come artigli verso al cielo.

Durante i cinque minuti di strada dalla fermata della metro all’ufficio dove lavoro, soprattutto, ho avuto modo di osservare da vicino lo scorrere del tempo guardando le vetrine inondarsi prima di zucche, ragnatele finte, foglie colorate, pubblicità di Pumpkin Spice Latte, poi improvvisamente, dalla sera alla mattina, di lucine e palline di Natale, alberi addobbati e pubblicità di Gingerbread Latte (la mia missione nella vita è provare tutti i flavoured coffee di Starbucks). Londra ama le feste, raramente sono stata così consapevole di Halloween e dell’evolversi dell’autunno come qui! Abbiamo anche addobbato tutta la casa con tanto di ragnatele nere, ragni fluorescenti, scheletri a grandezza naturale e lampadine rosse (che abbiamo tenuto su fino a ben oltre il 31 ottobre e che, scintillanti attraverso il vetro della porta d’ingresso, devono aver fatto credere a tutti i passanti che la nostra casa si fosse trasformata improvvisamente in un losco bordello) e adesso è già una settimana che abbiamo messo su l’albero.

Prima selezione di foto, QUEEN’S PARK, 20 ottobre, 14:00 circa:

IMG_8128IMG_8134IMG_8124IMG_8051

 

Proseguiamo con REGENT’S PARK, 25 ottobre:

Schermata 2015-11-07 alle 18.00.47 Schermata 2015-11-07 alle 18.06.59Schermata 2015-11-07 alle 18.06.08 Schermata 2015-11-07 alle 18.04.43 DCIM103GOPROGOPR3604.IMG_8364 IMG_8382 IMG_8435DCIM103GOPROGOPR3624.

 

Poi un parco di ACTON TOWN, 01 novembre, di ritorno dai festeggiamenti della notte di Halloween:

IMG_8604 IMG_8607 IMG_8624

 

E alla fine di nuovo QUEEN’S PARK, questa volta il 13 novembre:

IMG_9149 IMG_9162 IMG_9158 IMG_9189 IMG_9153

E questa è la nostra dose di autunno per oggi. Ditemi, a voi non sembra che ci sia una luce leggermente diversa che quella italiana? Forse è perché sono piuttosto più a Nord o perché ci sto prestando particolare attenzione. L’unica cosa che manca è che non ho mangiato neanche una castagna fino ad adesso. Però ho bevuto un Chestnut Praline Latte di Starbucks (#basicbitch), vale lo stesso? Come sta andando il vostro autunno fino ad adesso? Parliamone, passiamo un po’ di quality time insieme. #scoiattolo

Peace&Love

Jo

Come chiamare ogni cosa ADVENTURE cambierà la vostra vita

Ciao Ink Drops!

Ok, lo so: questo titolo è vagamente pomposo e crede molto in se stesso, ma dategli lo stesso una chance. Qualche post fa vi ho accennato a quanto spesso dica nella mia testa Sto partendo per un’avventura”; è uno dei miei leit motiv un po’ senza senso. Dopo averlo scritto, però, ho cominciato a pensarci e la cosa ha cominciato ad acquisire un senso piuttosto interessante. Questa è una delle cose che mi piace del tenere un blog: mi costringe a pensare a cosa scriverci sopra e così facendo a volte arrivo anche a conclusioni interessanti.

Facciamo un passo indietro. Sono a Londra in questo momento, come tutti ben sappiamo, e la tal cosa riunisce due cose che mi piacciono molto: viaggiare e grandi città.
Adesso è anche autunno, che è la mia stagione preferita, quindi il tutto è ancora più entusiasmante. Mi piace viaggiare e mi piace essere in posti creativamente molto stimolanti perché trovo che in queste circostanze la mia voglia di fare cose, qualsiasi cosa, si amplifichi esponenzialmente: in pratica, non vedo l’ora di andare in giro ad esplorare. Che cosa? Qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa di nuovo ed interessante. Certo, si può esplorare anche a casa propria, ma è più difficile e a noi a volte piace vincere facile.

Dunque negli ultimi due mesi ogni volta che decido di fare una passeggiata da qualche parte o di andare a visitare un qualche posto tra me e me mi riferisco alla cosa come ad una “adventure“. La settimana scorsa sono andata da Foyles ed era già dal giorno prima che progettavo la “Foyles adventure” che avrei avuto dopo il lavoro; domenica sono andata a Regent’s Park e anche lì ho messo nella borsa Moleskine e provviste (non vado mai da nessuna parte senza Moleskine, penna, auricolari, cibo e acqua, casomai ci fosse un’apocalisse zombie nel primo pomeriggio) riferendomi alla gita come alla mia “Sunday adventure“. Durante queste adventure posso fare tutto quello che voglio: posso decidere di andare in un posto e cambiare all’ultimo destinazione, decido sul momento la strada da fare, dove mangiare, a che ora tornare, e ogni imprevisto che possa capitare durante la giornata mi sembra meno gravoso e seccante perché, dopotutto, le avventure non sono sempre rose e fiori.

faithful_servants

Qui arriviamo ai due motivi fondamentali per cui trovo che chiamare le cose che si fanno “adventure” sia molto utile e vantaggioso:

  1. Rende tutto quello che devi fare istantaneamente più entusiasmante. I preparativi, l’attesa, lo svolgimento, il ritorno a casa. E’ come partire per una missione e poi tornare a casa e darsi da soli una pacca sulla spalla. Nota: a tal proposito dovete tenere presente una cosa: vivo con altre quattro persone e lavoro tutto il giorno in un ufficio pieno di gente, dunque, per quanto mi piaccia la compagnia umana e trovi i miei coinquilini persone fantastiche e assolutamente piacevoli, a volte adoro l’idea di andare in giro per conto mio e passare un paio d’ore a fare solo e solamente quello che più mi pare e piace. Partire per un’avventura consente anche questo: ritagliarsi del tempo per sé, cosa che nessuno fa mai quanto dovrebbe. Siete voi al comando: potete fare tutto quello che volete.
  2. Il motivo di prima vale se quello che progettate di fare e’ una cosa potenzialmente piacevole e divertente. Ma cosa succede se vi aspetta una giornata difficile? Piena di incresciosi incontri di lavoro, imbottigliature nel traffico, shopping per cose orribili che dovete per forza comprare (come le verdure) e simili? Be’, lieta di annunciarvi che anche in tal caso non cambia niente, anzi: chiamare anche queste attività’ adventure vi farà affrontare gli ostacoli con più determinazione e vi farà arrivare alla fine della giornata con l’orgoglio e la soddisfazione di poter dire mission accomplished: riponete il berretto di pelliccia di procione, il binocolo e la mappa perché siete arrivati all’accampamento, ce l’avete fatta, avete scalato la montagna, ora sedetevi qui davanti al fuoco accanto a me. Ogni giorno avrà un che di speciale se gli darete un nome entusiasmante.

IMG_8680IMG_8656 IMG_8670

Quindi provateci anche voi: questa settimana decidete almeno una o due adventure piacevoli da fare (non devono essere per forza cose straordinarie: dipende da voi, anche solo una passeggiata è perfetta) e trasformate almeno una o due situazioni incresciose in cui sarete costretti ad addentrarvi in adventure. E poi naturalmente scrivetemi qui cos’avete fatto.

Peace&Love

Jo

PS: in caso vi interessi l’immagine di copertina è un disegno di Paul Kenton e la prima immagine del post è di Eric Bottomley, accuratamente selezionate da internet per voi. Le altre foto sono mie, scattate domenica scorsa al tramonto, quando la città era ancora un po’ ammantata di foschia dopo un weekend estremamente nebbioso. Guardate qua, è affascinante:

IMG_8551

 

100 cose da fare prima di morire – UN ANNO DOPO

Ciao Ink Drops!

Più o meno un anno fa ho cominciato a scrivere su questo blog e uno dei primi post che ho pubblicato e’ stata una lista delle 100 cose da fare prima di morire.  Non e’ particolarmente originale, va bene, ma e’ divertente e può dare delle idee, un po’ come dei propositi di Capodanno a lungo termine. Solo che stavolta, al contrario che a Capodanno, sono riuscita veramente a realizzarne qualcuno. Poco più che un anno dopo del post originario, quindi, vediamo cosa posso spuntare dalla lista:

  1. Pubblicare un libro
  2. Farmi un tatuaggio
  3. Comprare una chitarra acustica – Regalo di Natale, and I’m lovin it.
  4. Comprare una macchina fotografica Polaroid (so hipster, I know) – Adesso ho frigo e pareti ricoperte di selfie, so hipster so hype.
  5. Vedere un canguro
  6. Scrivere un film
  7. Scrivere un telefilm
  8. Vedere le stelle con un telescopio
  9. Vincere a Black Jack contando le carte
  10. Fare un corso di sopravvivenza
  11. Vedere tutto Shakespeare a teatro
  12. Andare in Erasmus
  13. Fare volontariato – non per molto tempo a dire la verità, perché poi era periodo d’esami e sono stata troppo impegnata, ma ho fatto un po’ di doposcuola con i bambini lo scorso autunno.
  14. Vedere Beckett a teatro
  15. Finire Wreck this Journal
  16. Fare anche gli altri libri di Keri Smith (dire “leggere” non è appropriato per questo tipo di libri, se li conoscete lo sapete anche voi, altrimenti filate a conoscerli)
  17. Visitare Stoccolma e in generale i paesi del Nord Europa
  18. Vivere per un periodo a New York
  19. Fare il Coast to Coast in America
  20. Andare in California
  21. Imparare il Kung Fu (ero cintura gialla… yey quanto sono forte)
  22. Fare meditazione
  23. Avere un bonsai o/e una pianta carnivora – un bonsai che è morto immediatamente, praticamente appena ha messo piede dentro casa, si potrebbe quasi dire che si sia lasciato morire per la disperazione. Le piante in casa nostra sono costrette a crescere e rendersi indipendenti molto velocemente: sono piante gangster, piante con un’infanzia difficile, piante che lavorano già a 13-14 anni.
  24. Avere il miglior travestimento di Halloween di sempre
  25. Andare in un drive in cinema (ci sono stata una volta ed è piuttosto figo)
  26. Appendere in casa un’amaca
  27. Comprare una piastra per waffle
  28. Intagliare una zucca per Halloween – dunque ci siamo procurati questa grande, enorme zucca arancione, e poi ce ne siamo dimenticati. Passano un paio di settimane e un lato della zucca comincia a diventare tutto giallo e molliccio e allora pensiamo “Dobbiamo intagliarla subito! Prima che marcisca!” e proviamo ad intagliarla. Ebbene, non pensavo che l’interno di una zucca potesse essere così disgustoso: viscido e molliccio, il solo rimestarci dentro produceva un rumore come di interiora che si rovesciano sul pavimento. Un odore terrificante e intere liane di roba filamentosa e bagnaticcia che ne attraversavano l’interno da parte a parte. Terribile. Ma almeno ci abbiamo provato.
  29. Entrare in casa di qualcuno di notte (magari non proprio con scopi criminali… a casa di un amico che ha perso le chiavi ad esempio… ehm… qualcosa così)
  30. Andare a una proiezione interattiva del Rocky Horror Picture Show
  31. Sparare al poligono (mi basta una volta sola, tanto per provare)
  32. Andare sul set di un film
  33. Visitare una casa stregata (vicino a Los Angeles c’è un posto dove a quanto pare se non piaci al fantasma vieni spinto giù dalle scale)
  34. Visitare tutta la Grecia in barca a vela (o magari anche un posto più esotico, è solo che in tal caso avrei qualche problema con gli squali…)
  35. Mangiare un banana split
  36. Recitare a teatro – Le tre sorelle di Cechov! 
  37. Recitare in uno spettacolo a teatro dove tutti gli attori improvvisano
  38. Costruire un’enorme casa di Lego (o un castello o qualsiasi cosa)
  39. Vedere un baobab
  40. Avere un albero di Natale alto fino al soffitto (e un soffitto molto alto)
  41. Scoprire che il mio vicino di casa è un assassino e spiarlo con il binocolo (e poi assicurarlo alla giustizia, hell yeah)
  42. Dormire su un letto ad acqua
  43. Suonare con un gruppo
  44. Avere un cane
  45. Avere un Guinea Pig
  46. Vedere una mongolfiera (e magari salirci sopra)
  47. Andare su una macchina decappottabile
  48. Giocare a paintball
  49. Mangiare Jelly Bean BoozledTerribile. Me n’è capitata una al gusto di vomito. Due volte di fila. ED ERA TREMENDAMENTE VEROSIMILE.
  50. Vivere con degli amici – Adesso a Londra!
  51. Bere assenzio con lo zucchero
  52. Vedere Hobbiville in Nuova Zelanda
  53. Eliminare una volta e per sempre la paura di volare
  54. Imparare a dipingere
  55. Fare surf o kite surf (o almeno provarci)
  56. Conoscere JK Rowling in qualche modo (qui vi devo spiegare: Roald Dahl, JK Rowling e Tolkien sono stati la mia infanzia e la ragione che mi ha portato ad amare le storie e a voler diventare una scrittrice. Devo loro qualcosa insomma, e visto che solo JK è ancora in vita penso che dovrei cercare di cogliere questa opportunità, no?)
  57. Viaggiare in macchina tutta la notte, vedendo tramonto e alba
  58. Vedere Berlino
  59. Laurearmi
  60. Fare l’artista di strada per un giorno
  61. Avere qualche follower su questo blog – Siete tutti sconosciuti, ma immagino che siate persone molto piacevoli, quindi un brindisi a voi.
  62. Compilare una lista di libri da leggere e leggerli tutti
  63. Vedere un mio racconto pubblicato – Si chiama l’Uomo Cappello.
  64. Comprare un bongo africano
  65. Donare dei soldi in beneficenza
  66. Metter su una raccolta di CD
  67. Guidare la macchina senza nessun adulto responsabile seduto accanto a controllarmi Mi si è fermata la macchina nel bel mezzo di una rotonda molto trafficata: non è andata bene.
  68. Trovare un taglio di capelli che mi soddisfi
  69. Andare a una mostra del cinema
  70. Passare tutta la notte in piedi a lavorare a un progetto (stare sdraiata a letto a guardare serie tv non conta) possibilmente con altre persone
  71. Fare amicizia con sconosciuti in luoghi pubblici – Quest’estate io e mio fratello eravamo su un treno che doveva attraversare l’Italia più o meno da capo a piedi per tornare dal mare. C’è stato un incidente, un ragazzo si è buttato sotto al treno prima di noi, così siamo rimasti fermi per ore e ore nei pressi di Senigallia, abbiamo perso la coincidenza e siamo dovuti andare a dormire in albergo a Bologna, ma in tutto questo casino è stato quasi piacevole vedere come passeggeri che fino a due minuti prima si erano a malapena tollerati a vicenda improvvisamente in tempo di crisi diventavano amichevoli, generosi e ciarlieri l’uno con l’altro. La signora seduta davanti a noi, in particolare, continuava ad offrirci caffè in ghiaccio.
  72. Viaggiare di città in città andando a trovare amici
  73. Girare un cortometraggio (e scriverlo, montarlo, farci le musiche e tutto)
  74. Essere d’ispirazione per qualcuno (visto che tante persone lo sono per me)
  75. Fare biscotti a forma di personaggi della tv
  76. Andare a vedere un musical
  77. Cucinare Macaroons
  78. Fare un viaggio on the road
  79. Vedere quanti più paesi e città possibile
  80. Fare a qualcuno quello scherzo in cui si ricopre un uovo di cioccolata sciolta e lo si avvolge nella carta di un ovetto Kinder e lo si dà a un povero malcapitato da aprire
  81. Comprare a qualcuno la cosa che più desidera al mondo (o se non proprio quella un’altra cosa che vuole tanto)
  82. Andare in uno studio di registrazione
  83. Scrivere un libro per bambini
  84. Vincere un concorso – Il Premio Letterario Internazionale Merano Europa!
  85. Passare tutta la notte in giro in una grande città del mondo (New York non sarebbe male, ad esempio)
  86. Far crescere una pianta da un seme (ho provato con dei girasoli quest’estate ma poi sono partita e quando sono tornata erano tutti… è stato molto triste)
  87. Imparare a disegnare
  88. Imparare a ballare
  89. Dipingere le pareti di una stanza
  90. Fare un video A Day in My LifeFatto come presentazione per un corso di teatro lo scorso autunno con come sottofondo Good Morning di Singing In The Rain; si passa da scene in cui mi lavo per sbaglio i denti con del sapone ai frutti di bosco a scene in cui scappo a gambe levate da un grosso ragno. Majestic. 
  91. Conoscere l’inglese quasi come se fosse la mia lingua
  92. Frequentare un corso di scrittura creativa in un college in un altro paese (a quanto pare l’Italia scarseggia un po’ di queste cose)
  93. Creare qualcosa di artistico collaborando con altre persone
  94. Imparare a suonare il pianoforte o la batteria
  95. Dire di sì a qualsiasi cosa, come in Yes Man
  96. Avere in casa molto materiale artistico (tempere, pennarelli, un po’ di tutto: così avrò sempre il necessario quando avrò voglia di fare qualcosa)
  97. Incontrare una celebrità per la strada
  98. Comprare un paio di Dr Martens
  99. Andare in giro felicemente sotto a una pioggia scrosciante (quanti avverbi)
  100. Imparare a suonare la slide guitar

Sono 15 su 100, correggetemi se sbaglio, non mi sembra male! Secondo voi cosa dovrei fare, finire prima tutta questa lista o sostituire le cose fatte con altre ancora da fare e renderla tipo una lista infinita? Sono molto indecisa. E adesso che sono a Londra, in particolare, credete che ci siano delle cose che devo assolutamente fare finché sono qui?

Se avete fatto anche voi una lista del genere e avete spuntato qualche voce, scrivetele qui sotto, così magari possiamo ispirarci a vicenda. Non vi prometto che le farò anch’io, se si tratta di cose come Fare il bagno con gli squali o Lanciarsi dall’Himalaya con una tuta alare da scoiattolo volante, ma di sicuro proverò sconfinata ammirazione per voi!

Peace&Love

Jo

Dell’odore di una città e di come andare a Sud sia come andare in discesa

Ciao Ink Drops!

Quando mi sono svegliata stamattina il cielo era azzurro e i vetri della mia finestra coperti di brina, come foglie. C’e’ una luce diversa in Inghilterra, non trovate?
Domenica sono tornata dall’aeroporto di Gatwick in treno; era primo pomeriggio e c’erano pochi passeggeri sul Themeslink. Io ero molto impegnata a guardare le ultime puntate della seconda stagione di Orange is the new black, ma ogni tanto lanciavo uno sguardo verso la campagna inglese fuori dai finestrini e piante e casette di mattoni mi sembravano tutti vividi e scintillanti.

Forse ogni posto ha una luce diversa, colori diversi, a seconda di come viene filtrato il sole. L’Inghilterra ha colori umidi e brillanti, da mattina d’inizio autunno, e nuvole che sfrecciano veloci nel cielo. La Danimarca galleggia in un perenne tramonto arancione e rosa, che si stende sull’erba scintillante per la pioggia.
Il verde della Florida e’ caldo e umido e ti fa pensare a coccodrilli e serpenti e gomma da masticare; le strade solo enormi, le case basse e il cielo azzurro sembra sovrastare e abbagliare qualsiasi altra cosa. Sono troppo abituata all’Italia per potermi esprimere a riguardo con chiarezza.

Ogni città, di solito, ha anche un suo odore caratteristico. Questo discorso naturalmente non riguarda i mezzi pubblici: quelli hanno un’aroma poco invitante in qualsiasi parte del mondo. Se c’e’ una cosa che mi piace della metro a Londra e’ che e’ organizzata secondo punti cardinali: Northbound, Southbound, Westbound, Eastbound. Forse tutte le metro sono così ma, insomma, io ero abituata a quella di Roma che ha due linee sole ed e’ già tanto se funzionano quelle due.
Comunque qui, invece, la mattina prendo la metro verso Nord per andare al lavoro e mi viene in mente Game of Thrones e Winterfell e “King of the North” e la barriera e tutto il resto. Quando torno a casa la sera, invece, vado verso Sud e penso a Barbalbero nel Signore degli Anelli che dice “Mi piace sempre andare a Sud: in un certo senso e’  come andare in discesa” o qualcosa del genere.
Quando prendo la metro Westbound, verso Ovest, penso alla partenza degli elfi nelle loro navi indirizzate verso il tramonto, alla canzone di Annie Lennox durante i titoli di coda del terzo film e all’America degli anni ’50. Quando vado verso Est, alla fine, penso alla Guerra Fredda. Eh già. Potete avvistarmi sulla Piccadilly Line immersa in elucubrazioni riguardo a sottomarini e crisi dei missili cubani.

Non c’entra niente, ma sapete una cosa? Ho preso l’abitudine di andare al lavoro in pantaloni da completo anche se non mi e’ specificamente richiesto per il semplice motivo che sono comodi come pantaloni del pigiama e mi fanno sentire molto professionale quando torno a casa la sera. Ma ho divagato: stavamo parlando degli odori.

Dopo poco più di un mese di permanenza, credo di aver deciso che Londra sa di cibo d’asporto in un sacchetto di carta quando sei in ascensore, stai salendo in casa e stai morendo di fame. Non necessariamente pollo o cibo cinese: direi più che altro supplì e crocchette di patate, cibo da rosticceria per intenderci.
Venezia, mi spiace dirlo, ma tende a sapere spesso e volentieri di pesce fritto. New York sa di pizza, hot dog e croccantini, con una punta di interno di macchina macchiato di burro di noccioline. Andare in Florida e’ un po’ come annusare l’interno di un pacchetto di caramelle in un centro commerciale con l’aria condizionata, in piedi tra un negozio di Polo Ralph Lauren e un banchetto che prepara waffle con lo sciroppo d’acero così al volo. La Danimarca sa di erba, stufa e legna da ardere: tutto il vostro guardaroba saprà di caminetto dopo una settimana.

Basta cosi, per oggi ho riflettuto abbastanza a lungo sugli stimoli sensoriali. Ma ditemi voi: che colore hanno le città per voi? Che odore hanno? C’e’ qualcos’altro che collegate ai posti che avete visitato?

Io, ad esempio, in queste settimane ogni volta che vedo il Big Ben, un autobus rosso o una cabina telefonica per una frazione di secondo penso di essere ancora alle elementari, con la mia compagna di banco di origini londinesi che e’ tornata dalle vacanze e mi ha portato un portachiavi a forma di monumento miniaturizzato. Per una frazione di secondo non posso fare a meno di chiedermi perché non mi abbia portato una bacchetta magica da Harry Potter invece.

Peace & Love

Jo

Herzog Ate My Shoe

Ciao Ink Drops,

Questa mattina sulla metro ho visto una signora con appuntata al bavero della giacca una spilla che recitava “HERZOG ATE MY SHOE“.
Ultimamente faccio molta attenzione a quello che vedo sulla metro: credo che si capisca molto di una persona guardando come passa i suoi 40 minuti di mezzi pubblici alle 8.30 di mattina.

Ci sono uomini di lavoro dall’aria molto importante, vestiti in giacca, cravatta e valigetta, che leggono fumetti di Spiderman e giocano a videogiochi di Formula1. Donne in carriera che si chinano, losche e sospette, su libri ripiegati su se stessi in modo che non si veda la copertina di Harry Potter. Gente che dorme, gente che si trucca, gente che legge la recensione dell’ultimo concerto degli One Direction sul giornale.
E poi c’e’ la signora con la spilla.

Leggeva una rivista con i sui occhiali da lettura, abbastanza seria e contrita. Aveva il tipo di espressione che ti aspetti da una persona che alle 8.30 di mattina ha già spazzato tutti i pavimenti, mangiato la verdura e dato i croccantini al gatto. Indossava una giacca da tailleur bordeaux a quadri e avrebbe potuto benissimo chiamarsi Ellen; non l’avrei neanche notata se non avesse avuto quella spilla sul bavero.
Dunque mi sono appuntata la frase e ho condotto le mie ricerche una volta arrivata dal lavoro.

17761a1a4118eddc247bf282b7d1bdeeImage-011

Ho scoperto che questo Herzog (che fino a quel momento avevo associato solo vagamente al libro Herzog di Saul Bellow) è in realtà il regista tedesco Werner Herzog.
Ebbene la storia è questa. Mettetevi comodi e abbracciate un cuscino.
Verso il 1978 Herzog era già un regista affermato ed aveva un amico di nome Errol Morris. Tale Errol Morris era un regista anche lui, ma allo spettro opposto del nostro Herzog in quanto a fama e successo, anzi: stava lavorando ormai da tempo sempre allo stesso film, Gates of Heaven, senza riuscire a finirlo. Proprio per questo un bel giorno il suo amico Herzog, per spronarlo, ha promesso che se Morris avesse mai portato a termine il film, lui si sarebbe mangiato la sua scarpa.

Passa il tempo e Morris finisce il film. Herzog naturalmente decide di tenere fede alla promessa, ma invece di bollire la sua scarpa e gustarsela in solitudine, decide di mangiarla in un ristorante e di documentare il tutto, ricavandone un breve documentario a nome, per l’appunto, Werner Herzog Eats His Shoe. Mangiando la sua scarpa, la stessa che indossava al momento della promessa, Herzog ha mostrato il suo sostegno non solo per l’amico Morris, ma per tutto il cinema indipendente.

large_080213-wenerherzog

È così che l’intero concetto di Herzog e della scarpa è diventato una specie di incoraggiamento universale per chiunque voglia portare a termine un progetto una volta per tutte. Herzog farà la stessa promessa anche a te e, quando finalmente finirai quella cosa che avevi iniziato da tanto tempo, potrai andare in giro orgogliosamente a dire “Werner Herzog ate my shoe“. E questo, Gandalf direbbe, “è un pensiero incoraggiante“.

Adesso l’unica cosa che mi chiedo è che cos’abbia portato a termine Ellen, la signora dall’aspetto a prima vista così noioso e normale che portava quella spilla come se fosse una specie di manifesto da gridare al mondo e a tutta la metropolitana.
E voi? C’è qualcosa per cui scommettereste con Herzog quella scarpa?

Peace&Love

Jo